69. Una generale vigliaccheria

Uno, che si chiamava Venedikt Erofeev, si domandava perché al mondo sono tutti così maleducati proprio in quei momenti in cui non si può essere maleducati, quando una persona ha tutti i nervi scoperti, quando è vigliacco e mite. E diceva che se tutti al mondo fossero stati come era lui in quel momento, mite e pavido, e se non fossero stati sicuri di niente, né di se stessi né della serietà del loro posto al sole, sarebbe stato bello. Se non ci fosse stato nessun entusiasta, nessuna impresa, nessuna mania, ma invece una generale vigliaccheria sarebbe stata la salvezza da tutti i mali. E che se gli avessero mostrato un angolino al mondo dove non fosse sempre il momento di compiere delle imprese, lui avrebbe accettato di vivere lì per l’eternità.

Venedikt Erofeev, Mosca-Petuškì poema ferroviario, trad. di Paolo Nori, Macerata, Quodlibet 2014 [1973]

247. Non si sentiva tanto bene

Uno che si faceva chiamare Daniil Charms ma che in realtà si chiamava Daniil Ivanovič Juvačëv, un giorno aveva detto che non si sentiva tanto bene, allora si era misurato la febbre e l’aveva a trentasette.
Alle due del mattino se l’era misurata un’altra volta e l’aveva a trentasei e quattro.
Alle sette del mattino l’aveva misurata un’altra volta perché aveva freddo ma forse aveva freddo perché era fredda la stanza, che a San Pietroburgo a non avere il riscaldamento c’era il rischio di prendersi dei malanni. L’aveva misurata alle sette e un quarto e aveva trentasei e otto. Alle ore tredici aveva trentasei e nove. Aveva paura per la sua salute.

Daniil Charms, Disastri, trad. e cura di Paolo Nori, Milano, Marcos y Marcos 2011 [1942]

324. Una domanda

Uno scriveva solo per se stesso e dichiarava di rivolgersi ai lettori solo come espediente per scrivere con maggior facilità. ‘Lettori non ce ne saranno mai’ continuava. Non voleva vergognarsi di niente nel redigere i suoi appunti e non avrebbe seguito alcun ordine né sistema, ma avrebbe scritto quello che gli veniva in mente, così di getto, diciamo. Poi da questo pubblico a cui si rivolgeva, di lettori inesistenti, si faceva chiedere: ‘Se lei realmente non tiene in nessun conto i lettori perché conviene con se stesso, e per di più sulla pagina, di non seguire né ordine né sistema, di scrivere ciò che le verrà in mente eccetera eccetera, che motivo ha di spiegarsi? O giustificarsi?’ ‘Già, è vero’ rispondeva.
Fëodor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, trad. di Igor Sibaldi, Milano, Mondadori 2017 [1864]

327 – Copiare

C’era uno che per mestiere doveva copiare lettere e copiare gli piaceva talmente tanto che copiava pure quando non doveva farlo per lavoro. Dire che lo facesse con zelo è poco; dire che lo facesse con passione
neanche, quella era Bocca di Rosa; lui lo faceva con amore.

Nikolaj Gogol’, Il cappotto, trad. di Clemente Rebora, Milano, Feltrinelli 2018 [1842]

188 – Guarivano

Uno diceva che, da quando aveva preso lui la direzione, i malati guarivano tutti come mosche, che non facevano a tempo a mettere piede in ospedale che erano già sani.

Nikolaj Gogol’, L’ ispettore generale, trad. di Serena Prina, Milano, Feltrinelli 2011 [1836]

364 – Con sentimento

C’era uno che aveva regalato un libro alla sua amata. A lei non era piaciuto e allora lui, dispiaciuto, le aveva scritto: ‘Non sono d’accordo con voi, Varen’ka. Forse l’avete letto senza sentimento o non eravate dell’umore giusto, vi eravate arrabbiata per qualcosa o vi era capitato qualcosa di spiacevole. Leggetelo con sentimento, quando siete allegra e soddisfatta e vi trovate in una piacevole condizione di spirito, ecco, per esempio, quando avete in bocca una caramella, ecco, leggetelo allora’.

Fëodor Dostoevskij, Povera gente, trad. di Ebe Perego, Milano, Rizzoli 2004 [1846]

dal Repertorio dei matti della letteratura russa, a cura di Paolo Nori,
Milano, Salani 2021

306 – Abbastanza

Un condottiero cosacco di nome Taras Bul’ba, per dare animo ai suoi nei momenti peggiori di una battaglia all’ultimo sangue contro i polacchi, aveva detto: «E allora, signori, avete ancora polvere nelle fiaschette? È pure sempre affilato il taglio delle sciabole? Non s’è indebolita la forza cosacca? Non si sono ancora piegati i cosacchi?» E i superstiti avevano risposto: «C’è ancora abbastanza polvere, babbo, nelle fiaschette; le sciabole tagliano ancora, non si è affievolita la forza cosacca, i cosacchi non piegano ancora!»

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55 – Ognuno per conto suo

Uno, che si chiamava Venedikt Erofeev, diceva che per lui la vita umana è un breve ciclone dell’anima. Diceva che è come se tutti fossimo ubriachi, ognuno per conto suo, uno ha bevuto di più, l’altro di meno. E a ciascuno fa un effetto diverso: uno ride in faccia a questo mondo, l’altro piange tra le braccia di questo mondo. Uno ha già vomitato e adesso sta bene, l’altro comincia solo adesso ad avere il vomito. E diceva che lui aveva assaggiato molta roba ma non gli aveva fatto effetto, e non aveva riso neanche una volta come si deve, e non gli era mai venuto il vomito. Che lui, dopo aver assaggiato questo mondo tante di quelle volte da averne perso il conto e il senso, era il più sobrio di tutti e che questo mondo gli andava semplicemente stretto.

Venedikt Erofeev, Mosca-Petuškì poema ferroviario, trad. di Paolo Nori, Macerata, Quodlibet 2014 [1973] ;

dal Repertorio dei matti della letteratura russa, a cura di Paolo Nori,
Milano, Salani 2021

84 – Un brindisi

 

C’era una che brindare, lei brindava così: ‘Bevo alla casa distrutta, e alla mia vita brutta’.

Anna Achmatova, La corsa del tempo.
dal Repertorio dei matti della letteratura russa, a cura di Paolo Nori, Milano, Salani 2021 (esce l’11 febbraio)