Uno, che si chiamava Venedikt Erofeev, diceva che per lui la vita umana è un breve ciclone dell’anima. Diceva che è come se tutti fossimo ubriachi, ognuno per conto suo, uno ha bevuto di più, l’altro di meno. E a ciascuno fa un effetto diverso: uno ride in faccia a questo mondo, l’altro piange tra le braccia di questo mondo. Uno ha già vomitato e adesso sta bene, l’altro comincia solo adesso ad avere il vomito. E diceva che lui aveva assaggiato molta roba ma non gli aveva fatto effetto, e non aveva riso neanche una volta come si deve, e non gli era mai venuto il vomito. Che lui, dopo aver assaggiato questo mondo tante di quelle volte da averne perso il conto e il senso, era il più sobrio di tutti e che questo mondo gli andava semplicemente stretto.
Venedikt Erofeev, Mosca-Petuškì poema ferroviario, trad. di Paolo Nori, Macerata, Quodlibet 2014 [1973] ;
dal Repertorio dei matti della letteratura russa, a cura di Paolo Nori,
Milano, Salani 2021