69. Una generale vigliaccheria

Uno, che si chiamava Venedikt Erofeev, si domandava perché al mondo sono tutti così maleducati proprio in quei momenti in cui non si può essere maleducati, quando una persona ha tutti i nervi scoperti, quando è vigliacco e mite. E diceva che se tutti al mondo fossero stati come era lui in quel momento, mite e pavido, e se non fossero stati sicuri di niente, né di se stessi né della serietà del loro posto al sole, sarebbe stato bello. Se non ci fosse stato nessun entusiasta, nessuna impresa, nessuna mania, ma invece una generale vigliaccheria sarebbe stata la salvezza da tutti i mali. E che se gli avessero mostrato un angolino al mondo dove non fosse sempre il momento di compiere delle imprese, lui avrebbe accettato di vivere lì per l’eternità.

Venedikt Erofeev, Mosca-Petuškì poema ferroviario, trad. di Paolo Nori, Macerata, Quodlibet 2014 [1973]

324. Una domanda

Uno scriveva solo per se stesso e dichiarava di rivolgersi ai lettori solo come espediente per scrivere con maggior facilità. ‘Lettori non ce ne saranno mai’ continuava. Non voleva vergognarsi di niente nel redigere i suoi appunti e non avrebbe seguito alcun ordine né sistema, ma avrebbe scritto quello che gli veniva in mente, così di getto, diciamo. Poi da questo pubblico a cui si rivolgeva, di lettori inesistenti, si faceva chiedere: ‘Se lei realmente non tiene in nessun conto i lettori perché conviene con se stesso, e per di più sulla pagina, di non seguire né ordine né sistema, di scrivere ciò che le verrà in mente eccetera eccetera, che motivo ha di spiegarsi? O giustificarsi?’ ‘Già, è vero’ rispondeva.
Fëodor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, trad. di Igor Sibaldi, Milano, Mondadori 2017 [1864]

55 – Ognuno per conto suo

Uno, che si chiamava Venedikt Erofeev, diceva che per lui la vita umana è un breve ciclone dell’anima. Diceva che è come se tutti fossimo ubriachi, ognuno per conto suo, uno ha bevuto di più, l’altro di meno. E a ciascuno fa un effetto diverso: uno ride in faccia a questo mondo, l’altro piange tra le braccia di questo mondo. Uno ha già vomitato e adesso sta bene, l’altro comincia solo adesso ad avere il vomito. E diceva che lui aveva assaggiato molta roba ma non gli aveva fatto effetto, e non aveva riso neanche una volta come si deve, e non gli era mai venuto il vomito. Che lui, dopo aver assaggiato questo mondo tante di quelle volte da averne perso il conto e il senso, era il più sobrio di tutti e che questo mondo gli andava semplicemente stretto.

Venedikt Erofeev, Mosca-Petuškì poema ferroviario, trad. di Paolo Nori, Macerata, Quodlibet 2014 [1973] ;

dal Repertorio dei matti della letteratura russa, a cura di Paolo Nori,
Milano, Salani 2021

Poco ci sarebbe d’aggiungere


Questo libro è così bello, così convincente nella sua ideazione e nella
sua esecuzione, che poco ci sarebbe da aggiungere

Emanuele Trevi, su La lettura di oggi ha recensito il
Repertorio dei matti della letteratura russa, a cura di Paolo Nori,
Milano, Salani 2011

 

766 – In Anna Karenina

 


Uno era di Parma e era contentissimo che nel capitolo X della prima parte di Anna Karenina si dice che il formaggio preferito del fratello di Anna, Stepan Arkadič Oblonskij, detto Stiva, è il Parmigiano reggiano.

Lev Tolstoj, Anna Karenina
dal Repertorio dei matti della letteratura russa, a cura di Paolo Nori, Milano, Salani 2021 (esce l’11 febbraio)