C’era una canzone, quando ero bambino, una canzone di Antonello Venditti, s’intitolava Dimmelo tu cos’è, che io me la sentivo in continuazione. Di Dimmelo tu cos’è, a casa mia, avevamo addirittura l’audiocassetta originale (in quel periodo lì c’erano le audiocassette per sentire la musica), una delle poche audiocassette originali che avessimo in casa; le altre erano delle copie, avevano i titoli delle canzoni scritti con la penna sul cartoncino bianco che stava dentro alle custodie di plastica delle cassette vergini, quelle che si usavano per registrarci sopra le canzoni. Io me lo ricordo piuttosto bene quel cartoncino bianco delle cassette perché per me, scriverci sopra i titoli delle canzoni, è stata una cosa che mi sono portato appresso anche negli anni dopo, gli anni Novanta, quando sono diventato adolescente, e continuavo a scrivere i titoli delle canzoni su quel cartoncino bianco dopo aver registrato sulle cassette delle compilation, diciamo così, da regalare alle ragazze che mi piacevano (che poi, di solito, alle ragazze che mi piacevano, passavo più tempo a preparargli le cassette che a uscirci insieme).
Ma non è questo che m’interessava dire, quello che m’interessava dire è che la popolarità di Antonello Venditti, a casa mia, in quegli anni lì, negli anni Ottanta, era fuori discussione. E non è una cosa scontata, mi sembra. A casa di mia mamma, per esempio, quando lei era adolescente, non era mica così, lei ce lo raccontava spesso, a me e mio fratello. Nella famiglia di mia mamma, quando lei era adolescente, cioè negli anni Sessanta, non c’era un Antonello Venditti che fosse fuori discussione, ma c’era una specie di faida, tra mia mamma e i suoi fratelli, per decidere chi dovesse essere l’Antonello Venditti fuori discussione di casa loro: per il fratello di mia mamma, Giorgio, la musica degli anni Sessanta erano i Pink Floyd; per sua sorella, Emilia, la musica degli anni Sessanta era Woody Guthrie, che però mi sa negli anni Sessanta era già morto o ci mancava poco; mentre per mia mamma, la musica degli anni Sessanta, per mia mamma era Rita Pavone. Che ogni volta che mia mamma raccontava, davanti a degli amici o a dei conoscenti, questa cosa, che per lei la sua musica di quando era giovane era Rita Pavone, io mi vergognavo e pensavo: “Ma non poteva piacerle qualcun altro a mia mamma? Ma proprio Rita Pavone? Ma come si fa che a una ragazza degli anni Sessanta le piace Rita Pavone, ma dài”.
Comunque sia, il motivo per cui questa canzone di Antonello Venditti, Dimmelo tu cos’è, era così importante per me, in quel periodo della mia vita, è che aveva una seconda strofa che cominciava in una maniera, che io non riuscivo a spiegarmelo come potesse, una canzone, dire una cosa del genere. Alla prima strofa Venditti diceva: “Il nostro cane / non mi riconosce più” e va bene. Ma alla seconda strofa diceva: “Scopare bene, / scopare bene questa è la prima cosa”. E a me, che ero ancora bambino, mi imbarazzava che uno cantasse che scopare era la prima cosa della sua vita. E più la risentivo, questa canzone, più mi sembrava incredibile questa seconda strofa, e pensavo: “Magari mi sono sbagliato, magari ho sentito male, che non può essere che uno dice, in una canzone: ‘scopare bene’, e poi, addirittura insiste: ‘scopare bene è la prima cosa’”; mi sembrava una cosa da vergognarsi. Però nessuno diceva niente e allora, forse, ero io che non capivo, pensavo.
E quando ero da solo, questa canzone, me la risentivo per cercare di capire se diceva proprio “scopare bene” oppure magari un’altra cosa, e allora ero io a sbagliarmi, e tutto sarebbe stato più semplice. Quando invece mi capitava di sentirla insieme a qualcuno, e io lo sapevo che alla seconda strofa Venditti avrebbe detto “scopare bene”, cercavo sempre di fare in modo che la seconda strofa non si sentisse, che mi pareva avrebbe creato una situazione di disagio ascoltare Venditti che cantava “Scopare bene, scopare bene” come se niente fosse. E in quelle circostanze, in cui ero con qualcuno e c’era il rischio di ascoltare questa seconda strofa, cercavo di fermare lo stereo, oppure di parlarci sopra, oppure facevo qualche rumore forte per coprire almeno l’inizio della seconda strofa di Dimmelo tu cos’è, che poi, superato l’inizio, non c’erano grossi problemi.
Una volta però, capitò che mia mamma mettesse questa cassetta di Antonello Venditti mentre eravamo in macchina, d’estate, per andare al mare a Terracina, vicino a Roma. La nostra macchina di allora non aveva l’impianto stereo per sentire le cassette, ma mia mamma s’era portata lo stereo di casa, se lo teneva sulle gambe, e aveva messo proprio quella cassetta di Venditti in cui dentro c’era Dimmelo tu cos’è, e io, la prima cosa che avevo pensato quando avevo sentito la prima canzone della cassetta, che lo conoscevo bene l’ordine delle canzoni di quella cassetta, era che cosa avrei potuto fare per coprire la canzone quando Venditti avrebbe cantato: “Scopare bene, scopare bene”. E più si avvicinava il momento della seconda strofa di Dimmelo tu cos’è più mi agitavo.
Dopo un po’ che la cassetta andava, la prima cosa che provai a fare, provai a dire a mia mamma che non volevo più sentire la musica, che avevo male alla testa; solo che mio fratello, che era seduto di fianco a me, nel sedile dietro della macchina, aveva cominciato pure lui a lamentarsi, che invece lui la musica la voleva sentire. Io, allora, avevo pensato che continuando così, a litigare con lui, magari, sarei riuscito a coprire, con le urla, quella seconda strofa di Dimmelo tu cos’è. Però poi era intervenuta mia mamma che aveva detto di fare silenzio perché papà stava guidando e non ci stava capendo niente e aveva pure sbagliato strada. E in quel momento lì, mentre mia mamma diceva di fare silenzio, lo stereo continuava a andare e Dimmelo tu cos’è era appena cominciata, e mio fratello sembrava avesse per davvero deciso di non urlare più e di non lamentarsi più, a me non mi rimase che colpirlo, a mio fratello, con un pugno in faccia, proprio poco prima dell’inizio della seconda strofa di Dimmelo tu cos’è, quella in cui Venditti canta “Scopare bene”.
Che mio fratello, lì per lì, ci rimase, a guardarmi, con una faccia come se volesse dire: “Così, a tradimento? Ma non ti vergogni?”. Poi, con le lacrime agli occhi, mi saltò addosso e cominciò a picchiarmi. E mentre mio papà, che stava guidando, cercava un posto per accostare e separarci, e mia mamma urlava che lei aveva fallito come madre se due fratelli come noi non solo non si volevano bene ma anzi si picchiavano addirittura, io mi difendevo dalle botte di mio fratello, e sentivo che la seconda strofa di Dimmelo tu cos’è stava finendo, e finalmente ero sereno.
[Di Matteo Girardi]